Con la risoluzione n. 50 del 3 ottobre 2025, l’Agenzia delle Entrate ha fornito chiarimenti in merito alla restituzione dell’IVA non dovuta nei casi in cui l’imposta sia stata applicata a una cessione di beni o a una prestazione di servizi successivamente accertata, in via definitiva, come non imponibile.
Il documento prende in esame, a titolo esemplificativo, il caso della riqualificazione di un contratto di appalto di servizi – per il quale era stata esposta l’IVA in fattura – come contratto di somministrazione di lavoro.
Richiamando l’articolo 30-ter del decreto IVA, introdotto dalla legge europea 2017 (articolo 8 della legge n. 167/2017), l’Agenzia ricorda che la restituzione dell’imposta versata è ammessa solo a determinate condizioni e resta esclusa in presenza di frodi fiscali. La norma prevede che il rimborso sia subordinato alla restituzione al cliente dell’IVA indebitamente addebitata, per evitare un indebito arricchimento del cedente o prestatore, e che il cliente abbia a sua volta restituito l’imposta all’Erario a seguito di accertamento definitivo.
Nel caso analizzato, l’Amministrazione chiarisce che, se a seguito dell’attività di controllo il contratto originariamente qualificato come appalto viene riqualificato come somministrazione di lavoro, con conseguente invalidità del titolo giuridico e assenza di una prestazione imponibile ai fini IVA, non è possibile ottenere la restituzione dell’imposta.
In altri termini, poiché non esiste un’operazione imponibile ai fini IVA, l’imposta esposta in fattura risulta priva di presupposto giuridico e la relativa restituzione non può essere disposta.
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