Tra i litigi su catasto e giustizia e una campagna elettorale di un anno che collegherà le amministrative di giugno alle prossime politiche dovrà farsi largo un’accelerazione di circa 6 volte nella spesa effettiva dei progetti Pnrr. Perché nei termini concreti degli investimenti la sfida vera del Piano si gioca fra quest’anno e il prossimo: dopo un debutto che ha centrato i 51 obiettivi ufficiali per ottenere la prima rata a rendiconto, ma si è tenuto lontano dai piani di spesa originari.
Nelle tabelle a sfondo verde che percorrono le 2.447 pagine del Pnrr completo degli allegati mandati a Bruxelles, il 2021 avrebbe dovuto registrare una spesa di 13,7 miliardi. La maggioranza dei fondi era destinata a interventi già previsti dai programmi italiani, in cui il Recovery si limita a sostituire i fondi nazionali; ma una quota era dedicata a progetti nuovi, non compresi nei tendenziali e chiamati ad accelerare la crescita.
Il consuntivo del primo anno parla invece una lingua diversa. La spesa effettiva si è fermata a 5,1 miliardi, il 37,2% dell’obiettivo iniziale. Il consuntivo si può ancora aggiornare con la verifica dei requisiti Pnrr finanziati con fondi nazionali e coerenti con gli obiettivi del Piano. Ma la cifra, figlia soprattutto delle rivisitazioni ai prossimi obiettivi, che addensano oltre 35 miliardi medi all’anno. Quasi metà della spesa reale ha interessato l’alta velocità ferroviaria, di cui circa 800 milioni già pagati nel 2020; 1,2 miliardi all'ecobonus in edilizia. Gli incentivi all’innovazione delle imprese di «Transizione 4.0» hanno assorbito 990 milioni, contro i 1.713 attribuiti a questa voce nel programma originario. E altri 390 milioni sono serviti all'edilizia scolastica.
L’anno scorso un risultato del genere non è stato tutto sommato un gran problema. Perché l’economia ci ha pensato da sola a produrre un rimbalzo molto più intenso delle attese. E perché le verifiche comunitarie che hanno autorizzato la rata da 21 miliardi si sono concentrate su 49 obiettivi «qualitativi» (sono i milestone, come le norme da approvare su governance e rafforzamento amministrativo o l’adozione di programmi come Gol sull’occupazione dei giovani o di piani nazionali come quello sul rischio idrogeologico), limitando a due i target quantitativi misurati con realizzazioni concrete come l’ammissione al Fondo Simest di 5.204 Pmi (l’obiettivo era almeno 4mila) o la firma dei contratti con i «mille esperti» per le Regioni. Anzi: come ha spiegato l’Ufficio parlamentare di bilancio nell’audizione di giovedì sul Def riprendendo i dati forniti dal ministero dell’Economia al Parlamento, la spesa inferiore al previsto ha aiutato a ridurre il deficit tendenziale, contribuendo quindi all’apertura degli spazi fiscali per i nuovi aiuti senza scostamento.
Ora però il quadro cambia. Perché quest’anno gli obiettivi quantitativi destinati all’esame comunitario sono 17. E soprattutto perché la spinta autonoma della crescita si è raffreddata sotto i colpi di guerra e inflazione. In un contesto così complicato diventa ancora più cruciale il contributo alla crescita attribuito al Pnrr. Che nel frattempo è già cambiato proprio per la rimodulazione nel calendario della spesa: nel 2021 sono spariti quattro dei sei decimali di Pil previsti all’inizio, e nelle stime aggiornate il Piano si chiude nel 2026 con un +3,2% cumulato invece del +3,6% calcolato l’anno scorso.
Una parte di questa crescita ipotetica potrebbe essere recuperata più avanti, perché a cambiare sono anche i piani del Fondo complementare che come spiega il Def spostano 9,5 miliardi su 30,5 totali agli anni dal 2027 in poi, dopo la fine del Pnrr.
Fonte: Redazione TFDC
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