Responsabilità solidale tra banca finanziatrice e amministratori

11 Novembre 2021
Categoria:


Possibilità di rivalersi per concessione abusiva del credito quando la condotta dell'istituto ha contribuito all’aggravamento del dissesto di una società già in crisi, nonché a incrementare le perdite a causa degli interessi dovuti.
I commercialisti hanno ancora un vivo ricordo delle notti insonni dei primi mesi dell'anno 2020, trascorse a preparare la documentazione necessaria per le aziende clienti di studio richiedenti i finanziamenti bancari, nel periodo della conclamata pandemia Covid-19. Le banche, come sappiamo, non concedevano i finanziamenti a cuor leggero, come poteva apparire leggendo le norme di legge inerenti; i dati e documenti da fornire richiedevano tempo, impegno e attenzione, pena il diniego della banca alla concessione del finanziamento.

Tale condotta assunta dalle banche è riconducibile alla responsabilità che discende, come già messo in luce dalla dottrina e dalla giurisprudenza, dal mancato rispetto di specifici criteri di comportamento che devono essere seguiti dalla banca nell'esercizio del credito. Il dovere di valutare e verificare il merito creditizio del soggetto sovvenuto scaturisce sia dagli specifici obblighi previsti dall'ordinamento bancario per l'esercizio del credito, sia dal più generale principio di sana e corretta gestione che caratterizza l'intera disciplina bancaria. Tanto nella fase istruttoria, che in quella dell'erogazione del credito, come pure nelle successive fasi di monitoraggio e di revisione, le informazioni fornite dalla Centrale dei Rischi costituiscono un'ulteriore fonte informativa, continuamente aggiornata, che la banca ha il dovere di acquisire.
Del resto, l'attività bancaria, pur essendo di natura privata, non rappresenta solo un'espressione della libera attività d'impresa, ma è anche un'attività di interesse pubblico, in quanto sottoposta a vigilanza della Banca d'Italia. Ne consegue che, quando la banca si avvede dell'insolvenza del proprio cliente, deve chiederne il fallimento o quantomeno sospendere i finanziamenti. Se invece continua a sovvenzionarlo, commette un illecito per abusiva concessione del credito, illecito potenzialmente idoneo a danneggiare chi, tratto in errore dall'apparente solvibilità dell'impresa, ha continuato a fornire merce all'imprenditore poi dichiarato fallito, ma anche ad alterare l'equilibrio di tutto il sistema.

Il soggetto immeritevole di credito difficilmente potrà attuare un adeguato piano di utilizzo della liquidità ottenuta con il finanziamento; al contrario, quasi certamente essa verrà destinata a pagare i debiti a breve termine, secondo un criterio di contingente urgenza, con l'effetto di occultare il dissesto e permettere agli amministratori la pregiudizievole continuità dell'attività dell'impresa, che altrimenti, senza il supporto della banca, non sarebbe stata possibile.
La condotta suscettibile di causare il danno risarcibile si manifesta nel comportamento degli amministratori, direttori generali, liquidatori, imprenditori esercenti un'attività commerciale che ricorrono abusivamente al credito (art. 218 L.F.), dissimulando il dissesto o lo stato di insolvenza e, parallelamente, nella condotta della banca, illecita anch'essa, che eroga o rinnova o mantiene linee di credito all'impresa che versa in stato di insolvenza o di crisi conclamata. La società cliente subisce un danno per effetto dei più diversi atti che gli amministratori possono compiere nell'esercizio delle loro funzioni sociali, quali, ad esempio, attività negoziale svantaggiosa o in conflitto d'interessi o distrattiva, inosservanza di obblighi fiscali che comportino l'applicazione di sanzioni alla società, ecc.

Dell'abusiva concessione del credito e dell'abusivo ricorso al credito rispondono in via solidale gli amministratori con i finanziatori, per il danno causato al patrimonio sociale. Sul tema, con la sentenza 14.05.2018, n. 11695, la Suprema Corte enuncia il seguente principio di diritto: ”In materia di concessione abusiva del credito, sussiste la responsabilità della banca, che finanzi un'impresa insolvente e ne ritardi perciò il fallimento, nei confronti dei terzi, che in ragione di ciò abbiano confidato nella sua solvibilità ed abbiano continuato ad intrattenere rapporti contrattuali con essa, allorché sia provato che i terzi non fossero a conoscenza dello stato di insolvenza e che tale mancanza di conoscenza non fosse imputabile a colpa”.
Non tutto è perduto, dunque. È opportuno esaminare la documentazione prodotta e intercorsa tra la banca e il cliente (comprese le e-mail e Pec), per verificare i presupposti di un'eventuale corresponsabilità dell’istituto di credito al verificarsi di una peggiorata situazione di dissesto finanziario del cliente di studio, affiancando quest’ultimo a un buon avvocato specializzato in diritto bancario e diritto fallimentare.

Continua a leggere: attiva 3 notizie gratuite, le riceverai via e-mail


Oppure Abbonati e ricevi tutte le notizie di Ratio QuotidianoAbbonati

Articoli Correlati

magnifiercross