Recupero credito d’imposta: inesistente o non spettante?

10 Dicembre 2021
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La differenza non è solo terminologica, ma sostanziale: la diversa qualificazione, infatti, ha significative ripercussioni sotto il profilo sanzionatorio, sia pecuniario sia penale.
Ampliando l’analisi su quanto recentemente pubblicato in tema di recupero del credito d’imposta per spese di ricerca e sviluppo, si esaminano le conseguenze in termini sanzionatori, evidenziando, in via preliminare, che nell’ipotesi di contestazione di un credito qualificato come “non spettante, le sanzioni amministrative sono pari al 30% dell’importo indebitamente compensato, con possibilità di accedere all’istituto del ravvedimento operoso; ove, invece, si configuri un credito “inesistente, le sanzioni amministrative variano dal 100% al 200%, senza possibilità di accedere a strumenti deflattivi. Sul versante penale, l’indebita compensazione scaturente da un credito non spettante o non esistente, se superiore a 50.000 euro, prevede una pena che va, rispettivamente, da 6 mesi a 2 anni di reclusione e da 18 mesi a 6 anni di reclusione.
Più in particolare, l’art. 13, c. 4 D. Lgs. 471/1997 definisce “credito non spettante” l’importo utilizzato in misura superiore a quella effettivamente spettante, mentre ricade nell’ambito del “credito inesistente”, ai sensi del c. 5 del citato articolo, il credito in relazione al quale manca, in tutto o in parte, il presupposto costitutivo e la cui inesistenza non sia riscontrabile mediante controlli automatici e formali (artt. 36-bis e 36-ter Dpr 600/1973 e 54-bis Dpr 633/1972).

Ciò premesso, ai fine di un corretto inquadramento della fattispecie, giova richiamare la relazione illustrativa al D.Lgs. 158/2015, ossia alla norma che ha riformulato il menzionato art. 13: affinché si configuri la fattispecie della cd. “inesistenza” non è sufficiente contestare il solo presupposto costitutivo, ma anche l’intento fraudolento e nello specifico la chiara volontà di ostacolare l’attività di controllo dell’Amministrazione Finanziaria. E ancora, “il riferimento operato al riscontro dell’esistenza del credito da utilizzare in compensazione, mediante procedure automatizzate, rappresenta condizione ulteriore a quella dell’esistenza sostanziale del credito, ed è volta ad evitare che si applichino le sanzioni più gravi quando il credito, pur sostanzialmente inesistente, può essere facilmente intercettato mediante controlli automatizzati, nel presupposto che la condotta del contribuente si connota per scarsa insidiosità".
Ebbene, nel caso del credito d’imposta per spese di ricerca e sviluppo (ma questo vale in generale, ogni qualvolta la fruizione sia subordinata all’espressa indicazione del beneficio in uno specifico quadro nel modello dichiarativo), la disciplina prevede tassativamente che le menzionate spese siano:

  • corredate dalla documentazione di supporto delle relazioni tecniche;
  • certificate da un revisore;
  • esattamente corrispondenti alle scritture contabili;
  • oggetto di specifica informazione nella nota integrativa [per le società di capitali];
  • indicate nel quadro RU e identificate con uno specifico codice.

Sul punto, oltretutto, la stessa prassi dell’Agenzia delle Entrate (circolari nn. 31/E/2020 e 4/E/2021), nell’intento di evitare l’applicazione di sanzioni eccessivamente afflittive, aveva indicato di ridurre al 50% le sanzioni (seppure ritenendo il credito come “inesistente”), onde temperare le conseguenze al rischio sottostante. Indicazione, peraltro, palesemente disattesa dagli uffici periferici in sede di emissione degli atti di recupero.
In sostanza, il regime sanzionatorio più rigido dovrebbe essere applicato solo nelle ipotesi di violazioni gravi, ossia in presenza di irregolarità che, sotto il profilo formale e sostanziale, risultino caratterizzate da specifica pericolosità per gli interessi erariali. Nella pratica, invece, gli uffici dell’Agenzia delle Entrate, come nel caso del bonus R&S, prescindono da tali valutazioni e qualificano in maniera indiscriminata come “inesistente” l’utilizzo del credito, con il conseguente e più gravoso regime sanzionatorio. Scelta, questa, oggettivamente sproporzionata rispetto alla natura della violazione.

Infine, appare dirimente richiamare, ai fini che qui interessano, la recente giurisprudenza formatasi sul punto:

  • C.T.P. Aosta, sentenza n. 46/2021, depositata 8.11.2021, a mente della quale il credito inesistente è solo quello fittizio, ossia artificiosamente creato;
  • Cassazione, con ben 3 sentenze (nn. 34443, 34444 e 34445 del 16.11.2021), che ha qualificato come “inesistente” il credito che difetta, in tutto o in parte, del presupposto costitutivo (non è, quindi, “reale”) e la cui inesistenza non è accertabile mediante i controlli ex artt. 36-bis e 36-ter D.P.R. 600/1973 (imposte dirette) e 54-bis D.P.R. 633/1972 (Iva).

Con l’auspicio che, finalmente, l’Agenzia delle Entrate ponderi con maggior cautela le proprie pretese di recupero.

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