Con l'ordinanza n. 17793/2020 la Cassazione ha affermato che ai fini del riconoscimento della indennità di NASPI è sufficiente la perdita involontaria del posto di lavoro a seguito di recesso da parte datoriale, non essendo necessaria la presenza di altri elementi fattuali.
Come è noto e come è stato confermato dalla Corte di Cassazione nell'ordinanza n. 17793/2020, richiamando l'art. 45 R.D.L. 4.10.1935 n. 1827, l'evento coperto dal trattamento di disoccupazione è “l'involontaria disoccupazione per mancanza di lavoro, ossia quella inattività, conseguente alla cessazione di un precedente rapporto di lavoro, non riconducibile alla volontà del lavoratore, ma dipendente da ragioni obiettive e cioè dalla mancanza della richiesta di prestazioni del mercato di lavoro (così Corte Cost. 16.07.1968, n. 103)”. La funzione di tale trattamento è “quella di fornire in tale situazione ai lavoratori (e alle loro famiglie) un sostegno al reddito, in attuazione della previsione dell'art. 38, c. 2 della Costituzione e che tale presupposto si verifichi anche nel caso di scadenza del termine contrattuale, in cui la cessazione del rapporto non derivi da iniziativa del lavoratore".
Nel precedente citato sono inoltre stati sanciti altri 2 principi: da un lato, "la domanda per ottenere il trattamento di disoccupazione non presuppone la definitività del licenziamento e non è incompatibile con la volontà di impugnarlo, mentre l'effetto estintivo del rapporto di lavoro, derivante dell'atto di recesso, determina comunque lo stato di disoccupazione che rappresenta il fatto costitutivo del diritto alla prestazione, e sul quale non incide la contestazione in sede giudiziale della legittimità del licenziamento" (v. anche Cass. 11.06.1998 n. 5850, Cass. 27.06.1980, n. 4040); dall'altro, "solo una volta dichiarato illegittimo il licenziamento e ripristinato il rapporto per effetto della reintegrazione le indennità di disoccupazione potranno e dovranno essere chieste in restituzione dall'Istituto previdenziale, essendone venuti meno i presupposti”.
Fatte queste premesse, la Corte ha preso atto che lo stato di disoccupazione all'esito della scadenza del termine contrattuale fosse presente nel caso di specie, oggetto del ricorso, “non ostandovi il fatto che in presenza di una sentenza dichiarativa dell'illegittimità del termine contrattuale e di conversione del rapporto a tempo indeterminato ex tunc, sia intervenuta tra le parti una transazione prevedente la risoluzione consensuale del rapporto di lavoro, la regolarizzazione previdenziale e l'erogazione di un importo a titolo di danno non patrimoniale”. Così come non risulta ostativa “un'eventuale inerzia del lavoratore nel portare ad esecuzione una sentenza favorevole”.
Gli Ermellini hanno quindi concluso che "anche qualora sia stata resa in sede di impugnativa del termine contrattuale una sentenza di conversione ex tunc del rapporto di lavoro, elemento ostativo alla percezione dell'indennità di disoccupazione sarebbe dunque l'effettiva ricostituzione del rapporto, nei suoi aspetti giuridici ed economici, che nel caso non si è realizzata, atteso che la sentenza oggi impugnata ha accertato che il lavoratore non è mai stato reintegrato e che per il periodo in contestazione non ha ricevuto le proprie spettanze retributive”.
Appare pertanto chiaro che, ai fini del riconoscimento dell'indennità di NASPI, nulla rilevano la definitività del licenziamento, la volontà del lavoratore di impugnare il provvedimento e neppure la sopravvenuta sentenza che dichiari illegittimo il recesso dal rapporto di lavoro.
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