Aspetti critici per l’utilizzo della causa di disapplicazione conseguente alla dichiarazione dello stato di emergenza prevista dal Provvedimento dell’Agenzia delle Entrate 11.06.2012.
Il periodo d’imposta 2020 si presenta particolarmente difficile per le società di comodo, considerando l’impatto economico derivante dalla pandemia. In questo contesto ci si attendeva dal legislatore una sorta di “congelamento” delle disciplina delle società di comodo, nella duplice versione delle società non operative (quelle che non superano il test di operatività per insufficienza di ricavi) e delle società in perdita sistematica (quelle che hanno dichiarato perdite nel quinquennio 2015-2019 compresi, oppure che hanno dichiarato in tale quinquennio almeno 4 perdite fiscali e un reddito imponibile almeno pari al minimo).
È soprattutto la fattispecie delle società non operative che preoccupa maggiormente per il 2020 (per le società in perdita sistematica l’effetto è infatti posticipato di un anno), posto che il calo dei ricavi comporta maggiori difficoltà al superamento del test di operatività di cui all’art. 30 L. 724/1994. Infatti, i coefficienti di operatività da applicare alla media dei valori del triennio delle immobilizzazioni (comprese le partecipazioni) non hanno subìto alcuna riduzione, ragion per cui è del tutto evidente che soprattutto in alcuni comparti (basti pensare alla flessione o all’annullamento dei contratti di affitto per le società di gestione immobiliare) è del tutto improbabile il superamento del test.
Un possibile spiraglio si intravede analizzando le cause di disapplicazione previste dal provvedimento dell’Agenzia delle Entrate 11.06.2012, nell’ambito del quale si prevede la disapplicazione per le società “per le quali gli adempimenti e i versamenti tributari sono stati sospesi o differiti da disposizioni normative adottate in conseguenza della dichiarazione dello stato di emergenza ai sensi dell’articolo 5 della legge n. 225/1992”. Si noti che l’efficacia temporale della causa in questione riguarda l’anno in corso e quello successivo (e quindi per il 2020 e il 2021). In merito a tale causa esimente, va subito risolta la questione dell’abrogazione dell’art. 5 L. 225/1992 ad opera dell’art. 48, c. 1, D.Lgs. 1/2018 di riforma della Protezione Civile. Tuttavia, è lo stesso art. 47, c. 1, che stabilisce che l’art. 5 L. 225/1992 è automaticamente sostituito dall’art. 24 D.Lgs. 1/2018, con perfetta continuità tra le 2 norme.
Non parrebbe esservi alcun dubbio che il Covid-19 rientri nell’ambito applicativo della causa di disapplicazione in esame, tenendo conto in primo luogo che la delibera del Consiglio dei Ministri 31.01.2000 con cui è stato decretato lo stato di emergenza richiama proprio l’art. 24 D.Lgs. 1/2018.
Ciò avrebbe un immediato effetto positivo (una sorta di “ristoro”) per la fattispecie delle società non operative, per le quali il mancato superamento del test di operatività verrebbe neutralizzato sia per il 2020, sia per il successivo periodo d’imposta 2021, stante l’effetto “lungo” della causa esimente. Le società possono quindi indicare il codice “9” nella casella “2” del rigo RS116 del modello Redditi, mettendosi al riparo da possibili pretese dell’Amministrazione Finanziaria.
A differenti conclusioni si deve pervenire per le società in perdita sistematica, per le quali l’impatto del Covid-19 “slitta” al periodo d’imposta 2021, poiché solo in tale anno il periodo d’imposta 2020 (il primo colpito dalla pandemia) entra nel quinquennio di osservazione delle perdite fiscali.
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