Il singolare condono del Decreto Sostegni

24 Marzo 2021
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Pareri discordanti sulla natura dello stralcio dei carichi non superiori a 5.000 euro: sanatoria o presa d'atto dell'impossibilità di riscossione?
I romantici visionari che, pur essendo in possesso di partita Iva, pagano le tasse e i contributi fino all'ultimo centesimo fanno parte, a pieno titolo, della platea vasta, ma non vastissima, di chi, allo Stato, non deve niente. Ebbene, hanno pieno diritto nel ritenere i condoni altamente “diseducativi, usando un eufemismo, poiché sicuramente penalizzano e mortificano i contribuenti onesti. Questo, però, non necessariamente significa che i “beneficiari” siano sempre e comunque disonesti e/o evasori incalliti. Non raramente, infatti, le cartelle riguardano accertamenti palesemente infondati o sono inesigibili, a causa delle pastoie burocratiche o dell'inefficienza della macchina della riscossione o, ancora, sono riferite a sanzioni o multe oggettivamente sproporzionate in rapporto alla violazione contestata.
Prima di entrare nel merito del condono previsto dal Decreto Sostegni, invito a leggere quello che ho vissuto come esperienza diretta (ossia come consulente di un contribuente destinatario di una cartella “pazza”) per capire come si sono formate alcune assai fantasiose pretese di recupero. Ebbene, omettendo per ovvie ragioni di riservatezza l'identità del contribuente, sto parlando (valori in lire) di una cartella di lire 1.987.996.000 (sì, quasi 2 miliardi!), a fronte di un importo effettivamente dovuto di 896.000 lire. Si trattava dell'imposta sul patrimonio netto delle imprese (D.L. 394/1992), pari al 7,5 per mille e, secondo i calcoli elaborati dall'Agenzia delle Entrate, la società avrebbe avuto un patrimonio netto di oltre 265 miliardi, quando, in realtà, l'importo corretto era 119,5 milioni. In sintesi, le righe del prospetto del modello 750 (all'epoca così si chiamava) erano state “rielaborate” con una certa leggerezza, cosicché il capitale sociale, le riserve e l'utile dell'esercizio (rispettivamente, 50 milioni, 19,5 milioni e 50 milioni) si erano trasformati in una somma tale che, se vera, avrebbero fatto la felicità del cliente (e del suo consulente). L'Agenzia delle Entrate aveva commesso un errore clamorosamente macroscopico, tradottosi in un'imposta pari a 1.987.100.000, che aveva “rimpinguato” virtualmente le entrate erariali, salvo tradursi in uno zero di fatto, poiché il contribuente aveva regolarmente pagato le 896.000 lire. Conservo ancora la cartella, che procurò non poca ansia, a tacer d'altro, all'innocente e frastornatissimo contribuente.
Torniamo al punto. Il condono del Decreto Sostegni, a ben vedere, è una goccia nel mare: solo per rappresentare correttamente i fatti, è bene ricordare che il “magazzino” giacente riguarda oltre 130 milioni di atti per un importo complessivo di circa 987 miliardi di euro, formatisi negli ultimi 20 anni. L'art. 4 del decreto riguarda cartelle per complessivi 306 milioni di euro, ossia lo 0,03% del totale. Oltretutto, fermo restando che tra i beneficiari sicuramente ci sono i furbetti e i furbastri, molti dei graziati non hanno, come si dice in gergo, neppure gli occhi per piangere.
I condoni sono, in linea di principio, un abominio; tuttavia, mantenere nel bilancio entrate attese la cui possibilità di riscossione è una pia illusione, rappresenta soltanto un velleitario "annacquamento" dei conti. Vantare crediti inesigibili equivale a falsificare il bilancio (gli addetti ai lavori comprenderanno), così come equiparare questo condono ad altri del passato, assai meno “etici”, significa mistificare la sostanza del provvedimento.

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