Le limitazioni legate al possesso o meno del certificato esplicano i loro effetti anche nei luoghi di lavoro e nelle aziende appartenenti ai settori obbligati, con significative conseguenze nei rapporti con i dipendenti.
Lungi dall'entrare nel merito se il green pass sia cosa buona e giusta, è innegabile che questo certificato stia ormai condizionando il nostro quotidiano, che si parli di viaggi, di sport o di convivialità. E, volente o nolente, anche il lavoro ne viene coinvolto in maniera significativa, soprattutto in determinate attività. Cerchiamo quindi di chiarire la normativa in vigore oggi, per evitare che gli imprenditori cadano in un eccesso di zelo oppure al contrario sottovalutino degli adempimenti che coinvolgono i dipendenti o i clienti.
Il nuovo art. 9-bis, D.L. 52/2021 regolamenta l’accesso (e non la prestazione di lavoro) relativo a determinati servizi ed attività puntualmente elencati, con la paradossale conseguenza che i clienti sono soggetti all’obbligo del green pass, mentre i gestori e i dipendenti delle medesime attività non lo sono. Peraltro in altre attività accade esattamente il contrario e questa evidente disparità non va certo nella direzione della tutela sanitaria nei luoghi a rischio. E’ importante però non cedere all’errata convinzione che green pass equivalga a vaccino.
Il vaccino è solo uno dei tre modi per ottenerlo perché, come previsto dall’art. 9, D.L. 52/2021, si ottiene anche in seguito ad avvenuta guarigione oppure a tampone effettuato non oltre le 48 ore precedenti, a cui si devono sottoporre i dipendenti non vaccinati se costretti ad avere il certificato. In ambito lavorativo, infatti, non è previsto alcun obbligo vaccinale eccetto per i lavoratori del comparto sanità. In tutti gli altri settori il datore di lavoro non ha alcun potere di disporre o imporre il vaccino ai propri dipendenti, ma in ogni caso ha il dovere di garantire la sicurezza nel luogo di lavoro, adottando le misure idonee per salvaguardare l’integrità di tutti i lavoratori.
Un “no-vax” potrà quindi essere trasferito, sospeso, spostato ma, ad oggi, non licenziato. Nelle aziende accade spesso che siano i lavoratori medesimi a isolare ed allontanare i colleghi diventati improvvisamente “non graditi”, con buona pace dei sindacati che possono solo accettare queste iniziative spontanee.
Questa situazione è frequente nelle mense aziendali, assimilate ai servizi di ristorazione al chiuso in base a quanto introdotto dall’art. 3, DL 105/2021 e pertanto con accesso previa esibizione del green pass. La FAQ del Governo del 14.08.2021 ha confermato l’obbligo in caso di mensa aziendale o di locali adibiti a somministrazione del servizio di ristorazione, anche se gestito da terzi e la verifica del green pass ricade sui gestori medesimi, che dovranno effettuarla con le modalità introdotte dal Dpcm 17.06.2021. La ratio di base è dunque il servizio di ristorazione e la presenza di un gestore preposto al controllo.
Ne discende che la semplice presenza di un locale destinato al consumo di pasti non somministrati dal datore di lavoro (direttamente o tramite servizio mensa) non concretizza il presupposto per l’obbligo di green pass. Tuttavia è bene ricordare che le ormai note regole sugli spazi condivisi prevedono l’uso della mascherina e sembrano escludere la possibilità di consumare pasti in compresenza in locali comuni chiusi.
Per uscire dall’incertezza, nulla vieta ai datori di lavoro di predisporre una policy aziendale in materia di green pass, introducendo altre misure e prevedendo la gestione di diverse situazioni, ma a condizioni che non potranno essere meno stringenti di quelle già introdotte dal Governo.
Le limitazioni legate al possesso o meno del certificato esplicano i loro effetti anche nei luoghi di lavoro e nelle aziende appartenenti ai settori obbligati, con significative conseguenze nei rapporti con i dipendenti.
Lungi dall'entrare nel merito se il green pass sia cosa buona e giusta, è innegabile che questo certificato stia ormai condizionando il nostro quotidiano, che si parli di viaggi, di sport o di convivialità. E, volente o nolente, anche il lavoro ne viene coinvolto in maniera significativa, soprattutto in determinate attività. Cerchiamo quindi di chiarire la normativa in vigore oggi, per evitare che gli imprenditori cadano in un eccesso di zelo oppure al contrario sottovalutino degli adempimenti che coinvolgono i dipendenti o i clienti.Il nuovo art. 9-bis, D.L. 52/2021 regolamenta l’accesso (e non la prestazione di lavoro) relativo a determinati servizi ed attività puntualmente elencati, con la paradossale conseguenza che i clienti sono soggetti all’obbligo del green pass, mentre i gestori e i dipendenti delle medesime attività non lo sono. Peraltro in altre attività accade esattamente il contrario e questa evidente disparità non va certo nella direzione della tutela sanitaria nei luoghi a rischio. E’ importante però non cedere all’errata convinzione che green pass equivalga a vaccino.Il vaccino è solo uno dei tre modi per ottenerlo perché, come previsto dall’art. 9, D.L. 52/2021, si ottiene anche in seguito ad avvenuta guarigione oppure a tampone effettuato non oltre le 48 ore precedenti, a cui si devono sottoporre i dipendenti non vaccinati se costretti ad avere il certificato. In ambito lavorativo, infatti, non è previsto alcun obbligo vaccinale eccetto per i lavoratori del comparto sanità. In tutti gli altri settori il datore di lavoro non ha alcun potere di disporre o imporre il vaccino ai propri dipendenti, ma in ogni caso ha il dovere di garantire la sicurezza nel luogo di lavoro, adottando le misure idonee per salvaguardare l’integrità di tutti i lavoratori.Un “no-vax” potrà quindi essere trasferito, sospeso, spostato ma, ad oggi, non licenziato. Nelle aziende accade spesso che siano i lavoratori medesimi a isolare ed allontanare i colleghi diventati improvvisamente “non graditi”, con buona pace dei sindacati che possono solo accettare queste iniziative spontanee.Questa situazione è frequente nelle mense aziendali, assimilate ai servizi di ristorazione al chiuso in base a quanto introdotto dall’art. 3, DL 105/2021 e pertanto con accesso previa esibizione del green pass. La FAQ del Governo del 14.08.2021 ha confermato l’obbligo in caso di mensa aziendale o di locali adibiti a somministrazione del servizio di ristorazione, anche se gestito da terzi e la verifica del green pass ricade sui gestori medesimi, che dovranno effettuarla con le modalità introdotte dal Dpcm 17.06.2021. La ratio di base è dunque il servizio di ristorazione e la presenza di un gestore preposto al controllo.Ne discende che la semplice presenza di un locale destinato al consumo di pasti non somministrati dal datore di lavoro (direttamente o tramite servizio mensa) non concretizza il presupposto per l’obbligo di green pass. Tuttavia è bene ricordare che le ormai note regole sugli spazi condivisi prevedono l’uso della mascherina e sembrano escludere la possibilità di consumare pasti in compresenza in locali comuni chiusi.Per uscire dall’incertezza, nulla vieta ai datori di lavoro di predisporre una policy aziendale in materia di green pass, introducendo altre misure e prevedendo la gestione di diverse situazioni, ma a condizioni che non potranno essere meno stringenti di quelle già introdotte dal Governo.