Disapplicazione delle sanzioni tributarie

27 Dicembre 2021
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La verifica dei presupposti, fatte salve rare eccezioni, può essere esclusivamente effettuata dal giudice tributario e solo in presenza di una motivata richiesta avanzata dal contribuente.
La non applicazione delle sanzioni tributarie per obiettiva incertezza normativa è riscontrabile nelle seguenti disposizioni di legge:

  • art. 8, D. Lgs. 546/1992 “La commissione tributaria dichiara non applicabili le sanzioni non penali previste dalle leggi tributarie quando la violazione è giustificata da obiettive condizioni di incertezza”;
  • art. 6, c. 2, D. Lgs. 472/1997 “Non è punibile l’autore della violazione quando essa è determinata da obiettive condizioni di incertezza”;
  • art. 15, Dlgs 74/2020 “Non danno luogo a fatti punibili ai sensi del presente decreto le violazioni di norme tributarie dipendenti da obiettive condizioni di incertezza”;
  • art. 10, c. 3, L. 212/1990 “Le sanzioni non sono comunque irrogate quando la violazione dipende da obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione della norma tributaria”.

Ed è proprio riferendosi a tale ultima norma (Statuto dei diritti del contribuente) che, in passato, autorevole dottrina ha affermato come, tra i diversi fattori determinanti per ottenere la disapplicazione delle sanzioni causa incertezza normativa, si annovera la formazione di giudizi contrastanti, specie se sia stata sollevata una questione di legittimità costituzionale.
La Corte di Cassazione (sentenza 28.01.2021, n. 1893) ha tuttavia recentemente stabilito che questa discordanza non può scaturire da 2 sole pronunce di merito le quali, secondo la Corte, non possono certamente assurgere a espressione di orientamenti giurisprudenziali.
La verifica della sussistenza dell’incertezza interpretativa può essere operata solo a seguito di esplicita richiesta del contribuente, esclusivamente dal giudice tributario, unico soggetto a cui è attribuito il potere e di conseguenza il dovere di accertare la ragionevolezza di un’interpretazione.
Si evidenzia che, secondo una ormai consolidata opinione comune maturata negli anni in seno alla giurisprudenza ed alla dottrina, c.d. diritto vivente, il contribuente ha inoltre l’onere di provare quali elementi (contenuto, oggetto, destinatari) giustificano l’esenzione per incertezza normativa.
In generale, dunque, l’Amministrazione Finanziaria deve emettere i propri atti impositivi provvedendo alla quantificazione delle sanzioni.

Un’eccezione, confermata dalla sentenza della Cassazione 29.10.2021, n. 29112, come peraltro già enunciato in precedenza sempre dai giudici di legittimità con sentenza 07.04.2017, n. 9094, è rappresentata dal caso in cui i soci di una società di capitali ormai cancellata dal Registro delle Imprese, siano destinatari di un avviso di accertamento. Nella fattispecie l’estinzione della società determina ex lege (art. 8, D. Lgs 472/1997: “L’obbligazione al pagamento della sanzione non si trasmette agli eredi”) l’equiparazione della figura dei soci a quella degli eredi, pertanto con l’ emissione di un atto impositivo privo del calcolo di quelle sanzioni che avrebbero dovuto essere irrogate in capo alla società, ormai chiusa, per le irregolarità alla stessa contestate.
Si evidenzia infine che nessuna sanzione potrebbe/dovrebbe essere automaticamente applicata anche per quelle violazioni da considerare meramente formali, ossia che non hanno arrecato alcun pregiudizio all’attività accertativa degli uffici o causato un danno erariale.
A titolo esemplificativo: l’omessa/irregolare applicazione del reverse charge, l’esibizione tardiva delle scritture contabili ai verificatori, la mancata tenuta, da parte di un sodalizio sportivo dilettantistico costituito sotto forma di società di capitali, del prospetto ex DM 11 febbraio 1997.
Anche in tema di sanzioni, l’uso del condizionale è sempre d’obbligo. Decisamente complicata l’interpretazione delle norme, nonché il collegamento tra le varie disposizioni sparse qua e là.

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