Delocalizzazione e gestione dei licenziamenti

8 Settembre 2021
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La bozza di decreto che il Governo dovrebbe affrontare nei prossimi giorni.
Suscita polemiche la bozza di decreto sulle delocalizzazioni che il Governo dovrebbe affrontare nei prossimi giorni. Tra chi trova il testo eccessivamente blando per il mitigato regime sanzionatorio, e chi invece lo identifica come uno strumento repressivo della libertà di impresa, vale la considerazione che la misura si aggiunge (anzi, la precede) alla procedura e alla tempistica già previste per i licenziamenti collettivi. D'altra parte, forte è stato lo sconcerto per i recenti licenziamenti comunicati ai lavoratori, da un giorno all'altro, con un semplice messaggino. Altrettanto vero, però, è che sarebbe necessario affiancare un tale provvedimento con misure che rendano più appetibile investire in Italia e rimanervi.

Peraltro, le disposizioni della bozza di decreto non richiedono necessariamente una delocalizzazione intesa come spostamento del sito produttivo, bensì si applicano ogni qualvolta ci si trovi davanti a una cessazione definitiva di attività dovuta a ragioni non determinate da squilibrio patrimoniale o economico-finanziario che renda probabile la crisi o l'insolvenza dell'impresa.

Destinatari della norma sono le imprese che al 1.01 dell'anno in corso occupano almeno 250 dipendenti con contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, imprese quindi che sono normalmente dotate di bilanci, preventivi e consuntivi, di organi di controllo, di proiezioni finanziarie, cioè di strumenti idonei a segnalare gli squilibri ed i dissesti. Altrettanto vero è che non è facile determinare se le ragioni economico-finanziarie addotte produrrebbero o meno la crisi.

Le norme in commento istituiscono in primo luogo un obbligo di comunicazione del progetto di chiusura del sito produttivo che deve essere data comunicazione al Ministero del Lavoro, al Ministero dello Sviluppo Economico, all'Anpal, alla Regione in cui è situato il sito produttivo e alle rappresentanze sindacali aziendali e all'associazione di categoria. La comunicazione non è generica, ma deve contenere le ragioni economiche, finanziarie, tecniche o organizzative del progetto di chiusura, le caratteristiche del personale occupato e il termine entro il quale si intende procedere ai licenziamenti collettivi.

Entro 90 giorni dalla comunicazione, l'impresa deve presentare al Ministero dello Sviluppo Economico un "piano per limitare le ricadute occupazionali ed economiche derivanti dalla chiusura del sito produttivo" che indichi le azioni programmate per la salvaguardia dei livelli occupazionali, gli interventi per la gestione dei possibili esuberi, le misure di politica attiva del lavoro che potrebbero essere attivate.
La struttura per la crisi d'impresa convoca l'impresa per l'esame e la discussione del piano entro 30 giorni dalla sua presentazione e la procedura di licenziamento collettivo non può essere avviata prima della conclusione dell'esame.

La bozza del decreto attualmente in circolazione non contiene più le sanzioni ipotizzate in una precedente versione che prevedeva l'iscrizione dell'impresa inosservante in una black-list e una sanzione economica pari al 2% del fatturato. Il nuovo testo sanziona la mancata presentazione del piano o l'avvio della procedura di licenziamento collettivo in mancanza di approvazione da parte della struttura, con una decuplicazione del contributo di licenziamento e con la preclusione a contributi, finanziamenti o sovvenzioni pubbliche comunque denominate per un periodo di 5 anni dalla data di scadenza del termine per la presentazione del piano o dalla sua mancata approvazione.
A fronte dell'acceso dibattito che si è aperto sul provvedimento, il Governo sembra orientato a modificare il regime sanzionatorio, sostituendo la decuplicazione del contributo di licenziamento con il sostenimento a carico dell'azienda dei costi delle misure di politica attiva per il ricollocamento dei lavoratori interessati dalla chiusura.
Appare comunque evidente che l'attivazione della procedura concede alle parti sociali e all'amministrazione pubblica un po' più di tempo per affrontare la crisi occupazionale che alla chiusura inevitabilmente consegue.

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