Secondo la Corte di Giustizia Ue non è stato violato il principio della parità di trattamento rispetto alle tutele dei lavoratori assunti dopo il 2015.
Come noto, il punto più discusso e controverso del Jobs Act è costituito dall'esclusione della disciplina ex art. 18 L. 300/1970 per i lavoratori assunti a far data dal 7.03.2015. Nei loro confronti il D.Lgs. 23/2015 ha sostituito il diritto alla reintegrazione nel posto di lavoro con quello al risarcimento del danno, creando così un netto discrimine tra lavoratori fondato appunto su queasto elemento temporale. La questione, mai sopita nel dibattito politico e giurisprudenziale (qualche anno fa era stata addirittura tentata la strada del referendum abrogativo, tuttavia respinta dalla Corte Costituzionale con sentenza n. 26/2017), è stata riproposta di recente dal Tribunale di Milano innanzi alla Corte di Giustizia Europea.
Il caso in esame ha ad oggetto l'illegittimo licenziamento di 350 dipendenti di un'azienda, di cui 349 reintegrati poiché assunti prima del 7.03.2015, mentre una lavoratrice stabilizzata a fine marzo 2015, pur avendo sottoscritto un primigenio contratto a termine anteriormente all'entrata in vigore del Jobs Act, si vedeva riconosciuta solo una tutela indennitaria.
Il giudice nazionale ha posto 2 questioni fondamentali.
La prima riguardante la violazione del principìo di parità di trattamento e di non discriminazione contenuto nell'Accordo quadro sul lavoro a tempo determinato allegato alla direttiva 1999/70/CE. È il provvedimento comunitario teso ad impedire che l'apposizione di un termine a un contratto di lavoro costituisca un modo per eludere i diritti posti a tutela dei lavoratori assunti con contratto a tempo indeterminato. Secondo la Corte europea il suddetto principio paritario può essere scalfito in presenza di ragioni oggettive, quale potrebbe essere, per l'appunto, la finalità sociale perseguita dal D.Lgs. 23/2015 di favorire la stabilizzazione e l'occupazione (che peraltro coincide con un obiettivo dello stesso Accordo quadro).
La seconda questione, sollevata ai sensi degli artt. 29 e 30 della Carta dei Diritti Fondamentali dell'Unione Europea e della direttiva n. 98/59, concerne la legittimità di un trattamento diversificato tra lavoratori che, pur licenziati nell'ambito della medesima procedura collettiva, siano sottoposti a 2 diversi tipi di tutela.
Sul punto la Corte di Giustizia osserva come la direttiva che si presume violata, contenga soltanto obblighi consultivi: la norma non mira ad istituire un meccanismo di compensazione generale a livello europeo in caso di perdita del lavoro, tanto meno ad armonizzare le modalità di cessazione delle attività di impresa.
Per i giudici lussemburghesi, dunque, nulla osta a che un ordinamento nazionale preveda 2 distinti meccanismi di protezione a favore dei lavoratori illegittimamente licenziati.
Giova ricordare, a tal proposito, che la medesima questione era già stata affrontata e decisa allo stesso modo dalla Corte Costituzionale nel 2018, ad ulteriore riprova della legittimità della norma del Jobs Act.
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