Il diffondersi della pandemia ha esteso il ricorso allo smart working, ma si segnalano divergenze in materia, iniziando dal diritto al buono pasto: non è scontato che spetti alla totalità dei dipendenti.
Seppure liberato da quasi tutte le regole introdotte dal D.Lgs. 81/2017 per disciplinare questa modalità lavorativa, alcuni principi del lavoro agile sono comunque rimasti fermi e rileva, in particolare, il diritto del lavoratore in smart working allo stesso trattamento normativo e retributivo di colui che lavora in azienda. Tuttavia, alcune differenze sono via via emerse, stante le particolarità di questa modalità lavorativa: non si parla, per esempio, di lavoro straordinario in quanto nella fattispecie pesa maggiormente il risultato che non il tempo impiegato pe raggiungerlo. Parimenti, ai lavoratori in smart working non è stato riconosciuto il premio di 100 euro per la presenza sul luogo di lavoro nel mese di marzo.
Forti perplessità sono sorte per il permanere del diritto al buono pasto ed è in linea di massima prevalso l’orientamento della giurisprudenza che ha spesso negato il diritto di questi lavoratori al buono pasto. Tra le altre, si segnalano le sentenze della Corte di Cassazione 20087/2008,14290/2012, 14388/2016 e, più recentemente, il decreto n. 3463/2020 con cui il Tribunale di Venezia ha negato il diritto al buono pasto per i lavoratori in smart working in quanto il servizio sostitutivo della mensa non sarebbe un trattamento collegato alla prestazione di lavoro in se stessa, bensì collegato alle modalità di organizzazione dell’orario di lavoro e dovrebbe consentire la consumazione del pasto fuori da tale orario.
Il D.M. 122/2017, però, ha disposto che il buono pasto, se previsto, deve essere corrisposto dal datore alla totalità dei dipendenti, assunti con qualsiasi forma contrattuale, sia a tempo pieno che a tempo parziale, e anche nell'ipotesi che non sia affatto contemplata una pausa pranzo. L’Agenzia delle Entrate sottolinea questo aspetto con la risposta ad interpello 956-2631/2020 (non pubblicata), rispondendo ad un Ente bilaterale che chiedeva se i buoni pasto riconosciuti ai lavoratori in smart working fossero o meno esenti da Irpef a norma dell’art. 51, c. 2, lett. c) del Tuir, che esclude dal reddito del lavoratore dipendente le prestazioni sostitutive delle somministrazioni di vitto fino all’importo complessivo giornaliero di 4 euro, aumentato a 8 nel caso in cui le stesse siano rese in forma elettronica. Secondo l’Agenzia, l’esclusione opera anche nel caso in cui i buoni pasto vengano erogati a dipendenti in smart working stante l’evoluzione della normativa, attenta a tutte le forme di lavoro flessibile sempre più diffuse e in assenza di esplicite restrizioni.
Quindi, non è fiscalmente penalizzato il riconoscimento, da parte del datore di lavoro, del buono pasto ai dipendenti che prestano l’attività lavorativa presso la propria abitazione o nei luoghi da essi prescelti. Per orientamento prevalente, però, a questi lavoratori non viene erogato. Nel pubblico impiego, per esempio, l’Aran, con il parere 6432/2020 ha affermato che, essendo il lavoro agile una modalità di espletamento della prestazione lavorativa la cui organizzazione é prerogativa del potere organizzativo e datoriale, il riconoscimento dei buoni pasto ai dipendenti ricade esclusivamente sui singoli enti. Così pure la Funzione Pubblica, con il parere DFP-0055495-P-28/8/2020, ha affermato che il riconoscimento dei buoni pasto, in assenza di previsioni ostative rinvenibili nella normativa e nel contratto vigente, rappresenta una decisione rimessa esclusivamente alle autonome scelte organizzative e gestionali di ciascuna amministrazione.
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