Si configura il reato di indebita percezione di aiuti di Stato per coloro i quali alterano i risultati reddituali dichiarando falsi requisiti.
A seguito dell’emergenza sanitaria da Covid-19 il tessuto economico italiano ha subito e continua a subire ingenti perdite di fatturato che creano non poche difficoltà di natura debitoria. Lo Stato per alleviare tali disagi, nel tempo, è intervenuto con vari provvedimenti tesi all’erogazione di contributi a fondo perduto e alla concessione di finanziamenti garantiti.
L’accesso a tali benefici, come richiesto dalla normativa nel tempo emanata, è subordinato al possesso di alcuni requisiti da parte del richiedente. Qualora quest’ultimo, al fine di ottenere un maggiore beneficio, alteri i propri dati reddituali, commette il reato di indebita percezione di aiuti di Stato punito dall’art. 316-ter c.p. “Indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato” (Salvo che il fatto costituisca il reato previsto dall’art. 640-bis, chiunque mediante l’utilizzo o la presentazione di dichiarazioni o di documenti falsi o attestanti cose non vere, ovvero mediante l'omissione di informazioni dovute, consegue indebitamente, per sé o per altri, contributi, finanziamenti, mutui agevolati o altre erogazioni dello stesso tipo, comunque denominate, concessi o erogati dallo Stato, da altri enti pubblici o dalle Comunità europee è punito con la reclusione da 6 mesi a 3 anni. La pena è della reclusione da 1 a 4 anni se il fatto è commesso da un pubblico ufficiale o da un incaricato di un pubblico servizio con abuso della sua qualità o dei suoi poteri. La pena è della reclusione da 6 mesi a 4 anni se il fatto offende gli interessi finanziari dell'Unione europea e il danno o il profitto sono superiori a € 100.000).
Ad affermalo è la Corte di Cassazione, con la sentenza 18.01.2022, n. 2125.
Fatto - La ricorrente, esercente l’attività di revisore contabile, aveva presentato richiesta di accesso ad un prestito avvalendosi della garanzia prestata dal “Fondo di Garanzia per le PMI”. La richiesta, suffragata dalla dichiarazione di aver conseguito nell’anno 2018 ricavi di importo pari a € 109.680, evidenziando un danno subito nell’attività d’impresa, consentiva l’accesso ai benefici offerti dalla legge riconoscendo alla richiedente un finanziamento di € 25.000. Successivamente alla erogazione del contributo la Guardia di Finanza, dopo aver svolto accurate indagini, dimostrava la falsità della dichiarazione resa dalla ricorrente in quanto i redditi percepiti (i ricavi conseguiti) ammontavano a € 22.349 e non a € 109.680 come dichiarato, considerato che la predetta ricorrente, oltretutto, non aveva mai presentato alcuna dichiarazione dei redditi, per cui, quella allegata alla richiesta di finanziamento era da ritenersi un falso.
Pertanto, la ricorrente, avendo richiesto ed ottenuto un finanziamento di importo superiore a quello corrispondente al 25% dei ricavi accertati, aveva commesso il reato di cui si discute.
La Suprema Corte, nel rigettare il ricorso proposto dalla ricorrente, ha evidenziato che nel caso sottoposto al suo vaglio la falsità dell’autocertificazione non è relativa al solo parametro di riferimento assunto per l’accesso al finanziamento (25% dei ricavi dichiarati per un massimo di € 25.000), ma anche al presupposto danno causato dalla pandemia, elemento imprescindibile per l’accesso alla garanzia. Poiché dai dati fattuali risulta che la ricorrente non avrebbe potuto accedere alle agevolazioni previste, è corretto che il sequestro preventivo ai fini della confisca, sia riferito all’intero importo del prestito indebitamente percepito (euro 25.000).
Si configura il reato di indebita percezione di aiuti di Stato per coloro i quali alterano i risultati reddituali dichiarando falsi requisiti.