Adozione di “prassi incaute” e responsabilità connesse

26 Gennaio 2021
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Il datore di lavoro non risponde di eventi lesivi o letali per “culpa in vigilando” se non è dimostrato che fosse a conoscenza o nella possibilità di conoscere comportamenti incauti posti in essere in azienda.
In materia di infortuni sul lavoro la posizione di garanzia del datore di lavoro non può essere condizione sufficiente a rilevare una sua responsabilità diretta, se i lavoratori mettono in essere comportamenti tesi a eludere le prescrizioni di sicurezza con modalità a lui non note. La sentenza di Cassazione Penale 21.12.2020, n. 36788, in continuità con la giurisprudenza precedente, mette in correlazione l'omissione di tutela alla certezza della conoscenza o conoscibilità di prassi incaute adottate e diffuse all'interno dello stabilimento, determinanti per il verificarsi dell'evento.
Il fatto riguarda l'infortunio mortale di un lavoratore addetto al quadro comandi di un macchinario per cesoiatura (punzonatura di fogli metallici). L'operatore, entrato nell'area pericolosa per intervenire su un meccanismo inceppato attraverso un cancelletto abusivo invece di utilizzare l'apposito varco protetto da fotocellule, viene travolto dalla ripartenza del carrello d'alimentazione.
La pronuncia di primo grado, che ha assolto il datore di lavoro dal reato di omicidio colposo con violazione di norme di sicurezza e l'impresa dall'illecito amministrativo ex art. 25-septies, c. 2 D.Lgs. 231/2001 è stata riformata in appello. A lui si imputa come ad altre figure dell'organigramma di non aver vigilato su realizzazione e utilizzo dell'accesso abusivo all'area a rischio, la cui presenza era nota all'interno dell'azienda, con un significativo beneficio per la società in termini di velocità incrementata e riduzione dei costi.
Nel ricorso proposto il datore di lavoro contesta l'evidente divergenza nell'oggetto di imputazione, che in primo grado consiste nell'aver autorizzato la realizzazione dell'apertura mentre la condotta colposa ravvisata in appello si qualifica come culpa in vigilando per omesso controllo sull'attività svolta all'interno dello stabilimento. Le conclusioni appaiono arbitrarie in assenza di ogni accertamento sull'effettiva conoscenza da parte dell'imputato della presenza del varco incriminato, reso tra l'altro quasi invisibile dalla presenza di bulloni verniciati. In modo analogo non emerge alcun riscontro su chi ne avesse disposto o eseguito la costruzione o se operasse all'interno della ditta una prassi illegittima, legata all'uso ricorrente di un ingresso improprio per accedere all'area pericolosa.
Sono stati inoltre esclusi da ogni addebito il responsabile di produzione e di stabilimento, entrambi coimputati e a conoscenza da tempo dell'esistenza del cancello abusivo, di cui non avevano segnalato né impedito l'utilizzo. La stessa finalità dell'intervento è stata correlata alla volontà della direzione aziendale di evitare l'interruzione del ciclo produttivo a evidente vantaggio della società, mentre le perizie tecniche hanno sottolineato la motivazione plausibile di evitare ai lavoratori un trasporto degli attrezzi più faticoso.
Le ragioni sono state in parte accolte. In materia di infortuni sul lavoro non può essere infatti ascritta al datore di lavoro la responsabilità di un evento lesivo o letale per culpa in vigilando se non si è certi che egli conoscesse o potesse venire a conoscenza di prassi incaute o elusive degli obblighi di sicurezza determinanti per il verificarsi dell'evento. Nel caso in esame non è quindi ravvisabile una colpa dell'imputato nell'esigere una rigorosa linea di condotta, dato che non è stata provata l'esistenza di una prassi impropria né che egli ne fosse informato. Da qui l'annullamento della sentenza impugnata e il rinvio per nuovo giudizio.

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